Di seguito i deliri pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
spettabilissimi 'mprenditori bbeddi, accussì babbìando colli amici miei m'è giunta 'a nutizia de 'stu fattu caa u presidente d'associazione voshtra, quella caa runisce tutti quanti i pari voshtri, sè messa in capa de iettare fori daa 'sociazzione tutti li bravi cristiani che pagano u pizzu a noialtri ommini d'onore.
E uorra quaccuno mo vole spiegare picchè 'stu presidente saa pigghia accussì con li bravi carusi che pagano u pizzu? A mmìa nun me pare na manera saggia pe' garantire a voiattri de continuare a travagghiare sireni e tranquilli.
Pè ccome la viro io, la questione in due manere sta:
- Se pagate u pizzu, u presidente voshtro ve caccia daa 'sociazione;
- se NUN pagate u pizzu, i picciotti miei ve cacciano da 'sto mondo bbeddo.
Fateve cuattro conti, con calma...
Non so voi, ma a me le gaffe imbecilli di Berlusconi un pò mancavano.
La scena mondiale, senza gli exploit del nostro guitto pelato, sembrava un circo senza i suoi clown.
Ora si che lo riconosco.
premessa: post volutamente saturo di qualunquismo, indignazione generica e considerazioni sommarie. Tutti effetti che in genere mi vengono indotti dalla visione di Report su RaiTre o -come nel caso specifico- dalla lettura della prefazione al nuovo libro di G.A. Stella.
E' da qualche tempo che i giornali battono l'argomento della sfiducia dei cittadini italiani nei confronti della classe politica e delle istituzioni.
Oggi ho ricevuto un'altra email di denuncia circa un presunto, ennesimo aumento di stipendio che deputati e senatori si sarebbero autoconcessi, il tutto nel colpevole silenzio dei media.
Poche settimane fa un sondaggio rivelava che circa il 70% degli italiani nutre una considerazione nei confronti della classe politica prossima allo zero assoluto.
Il presidente Napolitano ha ammonito le istituzioni a recuperare quella credibilità politica che ormai pare ogni giorno più in discussione nella pubblica coscienza.
Qualcuno ha ipotizzato l'avvento di un altra crisi come quella del '92, quando l'intero establishment fu scosso fin nelle fondamenta dal ciclone di Mani Pulite.
Infine, non è un caso se "La Casta", l'ultimo saggio di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella incentrato sul malaffare e gli sprechi della politica italiana, è balzato in testa alle vendite appena apparso nelle librerie.
Io volevo comprarlo. Ne ho letto su internet qualche estratto dal primo capitolo: mi è venuto mal di fegato. Non credo che riuscirei a reggere il nervoso se lo leggessi per intero. Troppo lo schifo, troppe le sconcerie che la classe politica italiana, la "casta" appunto, si permette in spregio agli stessi cittadini ed alla fiducia che attraverso l'esecizio del voto è stata riposta nel loro operato.
Stella si pone una domanda che nella sua spiazzante semplicità demagogica racchiude tutto il senso di sgomento che ci coglie dinnanzi alle inaudite storture di cui è capace il nostro establishment: quale futuro può avere un Paese in cui succede tutto questo?
Abbiamo permesso alla nostra classe dirigente di costituirsi a sistema di potere in grado di alimentare se stesso. Un'anomalia mostruosa che attraverso meccanismi di autotutela si garantisce livelli di impunità inconcepibili in tutte le altre grandi democrazie occidentali. Un meccanismo perfetto i cui delicati congegni si contrappesano in un eterno equilibrio tra clientelarismi, corruzione ad ogni grado e livello, collusioni con il mondo degli affari e della finanza, penetrazioni mafiose.
Sto generalizzando, è vero, e non è corretto. Perchè anche tra gli esponenti della nostra politica esistono tantissimi elementi votati alla causa del comune interesse, persone che interpretano con serietà e svolgono con correttezza i compiti del loro mandato.
Ma il malcostume e la malafede sono vizi diffusi nei Palazzi, e lo sono in maniera assai bipartisan, senza distinzioni ideologiche o di schieramento. Basti pensare allo scandalo che infuria proprio in questi giorni attorno alle intercettazioni telefoniche dei vertici DS nel periodo dell' affaire Unipol. Un altro esempio di collusione tra affari e politica, tanto più dirompente in quanto coinvolge fazioni politiche la cui ideologia ha tradizioni di antagonismo rispetto alle realtà del capitalismo, non di consenso alle sue regole (a volte anche poco chiare).
Nel grande gioco della finanza, il compito della politica dovrebbe essere quello di chi detta le regole e vigila perchè vengano rispettate; non quello di sedersi al tavolo e giocare, magari barando.
Si dice che ogni Paese ha la classe politica che si merita. E' giusto. Una nazione dove l'evasione fiscale supera i 270 miliardi all'anno non può che essere amministrata da gente così.
Non so -o non ricordo- se ho già parlato dell'ultima impresa degli idioti1. A questa combutta di dilettanti della progettazionme urbanistica non bastava aver ridotto ad una corsia per senso di marcia la statale del Sempione, o aver ingolfato l'ingresso alla zona nuova fiera con la più inutile delle rotatorie: non paghi di cotante maestose cazzate, i geni hanno concepito la madre di tutte le fesserie viabilistiche: la chiusura dell'ingresso di Rho-Pero alla Tangenziale Ovest.
Ebbene, chiunque abbia una minima cognizione circa i volumi di traffico in una grande città come Milano, sa che un ingresso alla tangenziale è come una diramazione aortica: se fermi il flusso, i tessuti vanno in necrosi. Al di là delle analogie fisiologiche, la chiusura di quell'accesso condiziona ormai da parecchie settimane il traffico in un'area già caotica per sua stessa natura. Senza contare che in una situazione già così precaria basta pochissimo perchè i disagi si ingigantiscano a dismisura. Come successo ad esempio proprio ieri mattina all'ora di punta, quando una bisarca in panne ha completamente paralizzato la circolazione sia sulla statale che sulla tangenziale (a tal proposito vorrei ringraziare le forze dell'ordine preposte al controllo del traffico: nell'ora e mezza che ieri ho passato inchiodato nell'ingorgo non si è fatto vedere NESSUNO).
Qualcuno obietterà che i disagi sono inevitabili in quanto in tutta la zona della nuova fiera sono in corso pesanti interventi sulla viabilità e che in futuro, ultimati i lavori, la situazione tornerà "normale". Mi chiedo però se queste conseguenze siano state valutate correttamente in sede di progettazione, e se sono state considerate tutte le possibilità per ridurre al minimo l'imptto sulla viabilità nel corso dei lavori. Io, da utente, do una sola risposta: no.
1tutti coloro che hanno un ruolo nella progettazione e gestione della viabilità nella zona della nuova fiera di Rho-Pero.
Ogni domenica sera ci ricasco, regolarmente.
Eppure comincio già prima di cena ad autocondizionarmi: "questa sera niente Report su RaiTre". All'inizio quasi mi convinco. "Stasera non guardo Report. Stasera non guardo Report". Me lo ripeto in continuazione, come un mantra, per tutta la cena e anche dopo.
Guardare Report mi fa male, lo so. E allora ci provo a resistere.
Ci ho provato anche l'altra sera. Finiva un bel weekend, non volevo rovinarlo proprio all'ultimo. E invece sembra che a RaiTre lo facciano apposta a organizzare il palinsesto in modo da piazzarti Report nel momento più delicato della settimana. Il weekend finisce, l'indomani ci si alza presto, che un'altra settimana di duro pendolarismo sta per aprirsi... insomma, la sera della domenica di motivi per angosciarsi ce ne sono già fin troppi. Perchè allora farsi del male con le inchieste di Report su questo schifo di paese?
Eppure è una specie di droga, un alcaloide perverso che mi spinge, ogni puntata, a incazzarmi nero davanti al video che mi vomita addosso scandali e vergogne che solo in un paese di burattini mafiosi come il nostro possono esistere.
Sarà una forma di masochismo? Forse, e pare anche molto diffusa. Le inchieste della Gabanelli sono sempre gli argomenti più gettonati tra i colleghi nella pausa mensa del lunedì. Forse perchè l'indignazione (per chi ancora è capace di indignarsi) è un po' come il dolore: condividerla aiuta a sopportarla meglio.
Provate a immaginare un gruppo lavoratori del settore privato, malpagati e con mesi di ferie arretrate, che si ritrovano il lunedì mattina a commentare l'inchiesta sull'assenteismo e gli sprechi nella pubblica amministrazione.
Giuro: domenica prossima non guarderò Report. So che il fegato mi ringrazierà.
L'aumento delle temperature medie di questi giorni non ha mancato di palesare ancora una volta la stupidità innata dei miei concittadini.
Considerazione draconiana, ma basata sulla messa in relazione di due fenomeni concomitanti: l'arrivo del caldo e l'aumento del traffico nell'ora di punta. Da due settimane a questa parte il traffico mattutino che incontro andando al lavoro è cresciuto esponenzialmente di pari passo con la calura. Questo mi fa temere per i prossimi mesi (almeno fino alla pausa estiva) impennate vertiginose nei tempi medi di spostamento sul tragitto casa-lavoro-casa. Al momento siamo intorno all'ora e quaranta. Le stime per la fine di giugno prevedono punte di due ore, due ore e un quarto per un tragitto che in condizioni normali ha una media di percorrenza non superiore a 1 ora.
Ma in che modo l'arrivo del caldo influenza i volumi del traffico, e soprattutto che c'entra tutto questo con l'ottusità innata dell'italiano medio?
E' presto detto: al minimo accenno di afa nessuno vuole più muoversi sui mezzi pubblici. Tutti in auto, che "c'hanno su l'aria condizionata", anche coloro che hanno tragitti brevi da percorrere, o potrebbero muoversi in bici se non addirittura a piedi.
E invece tutti in auto, alè! E aria condizionata a manetta. In questo modo aumenta lo smog, cresce l'effetto serra e fa sempre più caldo, così sempre più persone usano l'auto e scaricano gas serra, e via dicendo. Senza contare i casini provocati dai gas degli impianti di condizionamento.
Io non ho alternative all'auto, e comunque non uso l'aria condizionata.
Certo, se i mezzi pubblici fossero più efficienti, puntuali, confortevoli e magari refrigerati, il fenomeno avrebbe dimensioni minori. Ma buttarsi in strada con l'auto per due gradi in più, quando se ne potrebbe fare a meno, è un atteggiamento da fessi. Se non volete sudare vestitevi leggeri, oppure andate a lavorare in una cella frigorifera, ma per favore non rompetemi i coglioni intasando le strade, eccheccazzo.
Ora, partiamo dal presupposto (molto presupposto) che il nuovo portale italia.it, fortemente voluto e sbandierato dal nostro ministero per i Beni e le Attività Culturali, sia tutto sommato un sito bello e funzionale. Magari ci vorrà un certo sforzo, ma ce la si può fare. Del resto si sa che i gusti sono gusti, e non si discutono.
Ma il logo... Quello no, cazzo, non me lo fa digerire nessuno! Quel marchio è un insulto alla Patria.
Pare che per l'elaborazione del nuovo simbolo grafico destinato a veicolare l'immagine dell'Italia nel mondo sia stata messa a bando una cifretta intorno ai centomila euro. Un importo pari al mio mutuo per un'immagine di 263x45 pixel; in pratica vent'anni di rate per pagare l'equivalente di 11835 puntini luminosi.
Comunque, visto il risultato, rivoglio indietro i soldi, che trattandosi di denari dei contribuenti escono in parte anche dalle mie tasche.
Senza contare il vero spreco in termini di immagine: un paese che fa del moderno design uno dei suoi prodotti di punta non può essere simboleggiato tramite un simile obbrobrio. Si gioca la credibilità. Eppure è così, o almeno lo è per il ministro Rutelli al quale qualcuno dovrebbe ricordare un paio di semplici regole.
La prima è di semplice grammatica e stabilisce che 'Italia' si scrive con la 'I' maiuscola. Lo insegnano in prima elementare, quando ti spiegano che si scrivono con l'iniziale maiuscola tutti i nomi propri e 'Italia', in quanto tale, non fa eccezione. Anzi.
La seconda regola è di natura stilistica: una parola la si scrive o in corsivo o in stampatello, mischiare entrambi fa schifo e ribrezzo. Solo le geniali menti incaricate dal ministero sono riuscite a farlo, per di più in una parola di sole sei lettere. Un record di cattivo gusto.
Infine una considerazione di pura decenza: quella 't' verde malamente stilizzata, che nelle intenzioni dei creativi dovrebbe rappresentare concettualmente la creatività italiana, in realtà ha una forma fallica imbarazzante. Un grosso cazzone verde, impietosamente puntato verso il basso. Quale messaggio subliminale può trasmettere al potenziale turista che naviga il portale? Qualcosa tipo "vieni in Italia, il paese del cazzo molle!"?
Hai voglia poi a raccontare in giro la storiella del maschio latino...
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